giovedì 14 luglio 2011

Non vorrei crepare - Boris Vian



Non vorrei crepare

Non vorrei crepare
Prima di aver conosciuto
I cani neri del Messico
Che dormono senza sognare.
Le scimmie dal culo pelato
Divoratrici di fiori tropicali
I ragni d'argento
Dal nido pieno di bolle
Non vorrei crepare
Senza sapere se la luna
Dietro la faccia di vecchia moneta
Abbia una parte puntuta
Se il sole fa freddo
Se le quattro stagioni
Siano poi veramente quattro
Senza avert tentato
Di sfoggiare un vestito
Lungo i viali alberati
Senza aver contemplato
La bocca delle fogne
Senza aver ficcato il cazzo
In certi angoli bizzarri
Non vorrei crepare
Senza conoscere la lebbra
O le sette malattie
Che si prendono laggiù
Il buono e il cattivo
Non mi tormenterebbero
Se sapessi
Che ci sarà una prima volta
E troverò pure
Tutto ciò che conosco
Tutto ciò che apprezzo
E sono sicuro che mi piace
Il fondo verde del mare
Dove ballano i filamenti delle alghe
Sulla sabbia ondulata
La terra bruciata di giugno
La terra che si screpola
L'odore delle conifere
Ed i baci di colei
Che mi fa stravedere
La bella per essenza
Il mio orsacchioto, L'Orsola
Non vorrei crepare
Prima di aver consumato
La sua bocca con la mia bocca
Il suo corpo con le mie mani
Il resto con i miei occhi
Non dico altro bisogna
Restare umili
Non vorrei crepare
Prima che abbiano inventato
Le rose eterne
La giornata di due ore
Il mare in montagna
La montagna al mare
La fine del dolore
I giornali a coliri
La felicità dei ragazzi
E tante cose ancora
Che dormono nei crani
Degli ingegneri geniali
Dei giardinieri allegri
Di socievoli socialisti
Di urbani urbanisti
E di pensierosi pensatori
Tante cose da vedere
Da vedere e da sentire
Tanto tempo da aspettare
Da cercare nel nero

E io vedo la fine
Che brulica e che arriva
Con la sua gola schifosa
E che m'apre le braccia
Da rana storpia

Non vorrei crepare
Nossignore nossignora
Prima d'aver assaporato
Il piacere che tormenta
Il gusto più intenso
Non vorrei crepare
Prima di aver gustato
Il sapore della morte

Cascando - Samuel Beckett

More about Poesie

Cascando

I

perchè non meramente l'occasione
senza speranze di stillare
parole

meglio non è abortire che essere sterili

plumbee dopo che tu vai via le ore
cominceranno sempre troppo presto
uncinando alla cieca
a dragare il letto del desiderio
recuperando le ossa i vecchi amori
orbite un tempo riempite di occhi come i tuoi
forse che tutto è sempre meglio troppo presto che mai
coi volti bruttati dal nero desiderio
nuovamente dicendo in nove giorni mai riemerse l'amato
nè in nove mesi
nè in nove vite

2

nuovamente dicendo
se non m'insegni non imparerò
nuovamente dicendo ecco vi è un'ultima
volta persino per le ultime volte
ultime volte per mendicare
ultime volte per amare
per sapere di non saper fingere
un'ultima anche per le ultime volte
di dire se non m'ami
non sarò amato se non amo te
non amerò
la zangola di parole stantie nuovamente nel cuore
amore amore amore
tonfo del vecchio pistone a pensare
l'inalterabile
siero di parole

nuovamente atterrito
di non amare
di amare e non te
di essere amato e non da te
di sapere di non sapere fingere
fingere

io e tutti quegli altri che ti ameranno
se ti amano

3

sempre che ti amino

Inviti Superflui - Dino Buzzati

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Inviti Superflui

Vorrei che tu venissi da me in una sera d'inverno e, stretti assieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo. Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo per le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spianavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi. Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi la vita misteriosa, che ci aspettava. Ivi palpitarono in noi per la prima volta pazzi e teneri desideri. "Ti ricordi?" ci diremo l'un l'altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento. Ma tu - ora mi ricordo - non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati. Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, nè battesti mai alla porta del castello deserto, nè camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, nè ti addormentasti sotto le stelle d'Oriente, cullata da piroga sacra. Dietro i vetri, nella sera d'inverno, probabilmente noi rimarremmo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei "Ti ricordi?", ma tu non ricorderesti.
Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell'anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade nascono spesso pensieri malinconici e grandi; e in date ora vaga la poesia, congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene. Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremmo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensare, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre della città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo sempre tenendoci per mano, poichè le anime si parlano senza parola. Ma tu - adesso mi ricordo - non mi dicesti cose insensate, stupide e care. Nè puoi quindi amare quelle domeniche che io dico, nè l'anima tua sa parlare alla mia in silenzio, nè riconosci all'ora giusta l'incantesimo della città, nè le speranze che scendono dal settentrione. Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrare fortuna. Tu sei diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti di essere stanca; solo questo e nient'altro.
Vorrei anche andare con te d'estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l'acqua che passa, ascoltare nei pali del telefono quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dei prati e qui, distesi sull'erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne. Tu diresti "Che bello!" Niente altro diresti perchè noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come fossero nate allora.
Ma tu - ora che ci penso - tu ti guarderesti attorno senza capire, ho paura, e ti fermeresti preoccuoata a esaminare una calza, mi chiederesti un'altra sigaretta, impaziente di fare ritorno. E non diresti "Che bello!", ma altre povere cose che a me non importano. Perchè purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante felici.
Vorrei pure - lasciami dire - vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colma di inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando sopra di sè una specie di musica. Con la canida superbia die bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le debolezze dell'uomo. Ma tu - lo capisco bene - invece di guardare il cielo di cristalloe gli aerei colonnati battuti dall'estremo sole, vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, nè dei presentimenti che passano, nè ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Nè udresti quella specie di musica, nè capiresti perchè la gente ci guardi con occhi buoni. Tu penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d'oro sulle guglie alzeranno le spade sugli ultimi raggi. Ed io sarei solo. E' inutile. Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla vita. Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di notte, d'estate o d'autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda. Mi basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare - ti prometto - gli scricchiolii misteriosi del tetto, nè guarderò le nubi, nè darò retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così amiche all'amore. Ma io ti avrò vicina. E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo con donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo.
Ma tu - adesso che ci penso - sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili da valicare, tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati. Ed è bastato poco perchè ti dimenticassi di me. Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso fra le innumerevoli ombre. Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose.

Prima che bruci Parigi - Nazim Hikmet




Prima che bruci Parigi

Finchè ancora tempo,mio amore
e prima che bruci Parigi
finchè ancora tempo, mio amore
finchè il mio cuore è sul suo ramo
vorrei una notte di maggio
una di queste notti
sul lungosenna Voltaire
baciarti sulla bocca
e andando poi a Notre-Dame
contempleremmo il suo rosone
e a un tratto serrandoti a me
di gioia paura stupore
piangeresti silenziosamente
e le stelle piangerebbero
mischiate alla pioggia fine.

Finchè ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finchè ancora tempo, mio amore
finchè il mio cuore è sul suo ramo
in questa notte di maggio sul lungosenna
sotto i salici, mia rosa, con te
sotto i salici piangenti molli di pioggia
ti direi due parole le più ripetute a Parigi
le più ripetute, le più sincere
scoppierei di felicità
fischietterei una canzone
e crederemmo negli uomini.

In alto, le case di pietra
senza incavi nè gobbe
appiccicate
coi loro muri al chiar di luna
e le loro finestre diritte che dormono in piedi
e sulla riva di fronte il Louvre
illuminato dai proiettori
illuminato da noi due
il nostro splendido palazzo
di cristallo.

Finchè ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finchè ancora tempo, mio amore
finchè il mio cuore è sul suo ramo
in questa notte di maggio, lungo la Senna, nei depositi
ci siederemmo sui barili rossi
di fronte al fiume scuro nella notte
per salutare la chiatta dalla cabina gialla che passa
- verso il Belgio o verso l'Olanda? -
davanti alla cabina una donna
con un grembiule bianco
sorride dolcemente.

Finchè ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finchè ancora tempo, mio amore.

Aurora - Nietzsche

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Sono necessari piccoli atti anticonformisti

149. Sono necessari piccoli atti anticonformisti. Agire, anche una sola volta, nelle faccende del costume, contro il proprio giudizio migliore; sottomettersi, a questo riguardo, nella prassi, e riservarsi la libertà spirituale; agire come tutti e con ciò rendere a tutti una cortesia e un beneficio per così dire a compenso del non conformismo delle nostre opinioni: tutto questo, presso molti uomini abbastanza liberi d'idee, è considerato non soltanto non pericoloso, ma anche «onesto», «umano», «tollerante», «non pedantesco», o comunque suonino le belle parole con le quali si canta la ninna-nanna alla coscienza intellettuale perché si addormenti. E così c'è chi, pur essendo ateo, fa battezzare cristianamente il suo bambino, e chi va sotto le armi, come tutti gli altri, per quanto maledica grandemente l'odio tra i popoli, chi corre in chiesa con una femminuccia perché, lei ha una parentela di gente devota, e fa la sua promessa davanti a un prete, senza vergognarsi. «Non è essenziale, se anche uno di noi fa quello che tutti fanno e hanno sempre fatto» - così si esprime il pregiudizio grossolano! Il grossolano errore! Poiché non c'è niente di più essenziale del fatto che ancora una volta sia riaffermato, attraverso l'azione di un uomo riconosciuto come razionale, quanto è già potente, tradizionale, e irrazionalmente riconosciuto: in tal modo esso riceve, agli occhi di tutti coloro che hanno notizia di questo fatto, la sanzione della ragione stessa. Tutto il rispetto per le vostre opinioni! Però piccoli atti anticonformisti hanno più valore!

Minima Moralia - Adorno

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Non si accettano cambi

Non si accettano cambi. Gli uomini disapprendono l'arte del dono. C'è qualcosa di assurdo e di incredibile nella violazione del principio di scambio; spesso anche i bambini squadrano diffidenti il donatore, come se il regalo non fosse che un trucco per vendere loro spazzole o sapone. In compenso si esercita la charity, la beneficenza amministrata, che tampona programmaticamente le ferite visibili della società. Nel suo esercizio organizzato l'impulso umano non ha più il minimo posto: anzi la donazione è necessariamente congiunta all'umiliazione, attraverso la distribuzione, il calcolo esatto dei bisogni, in cui il beneficato viene trattato come un oggetto. Anche il dono privato è sceso al livello di una funzione sociale, a cui si destina una certa somma del proprio bilancio, e che si adempie di mala voglia, con una scettica valutazione dell'altro e con la minor fatica possibile. La vera felicità del dono è tutta nell'immaginazione della felicità del destinatario: e ciò significa scegliere, impiegare tempo, uscire dai propri binari, pensare l'altro come un soggetto: il contrario della smemoratezza. Di tutto ciò quasi nessuno è più capace. Nel migliore dei casi uno regala ciò che desidererebbe per sé, ma di qualità leggermente inferiore. La decadenza del dono si esprime nella penosa invenzione degli articoli da regalo, che presuppongono già che non si sappia che cosa regalare, perché, in realtà, non si ha nessuna voglia di farlo. Queste merci sono irrelate come i loro acquirenti: fondi di magazzino fin dal primo giorno. Lo stesso vale per la riserva della sostituzione, che praticamente significa: ecco qui il tuo regalo, fanne quello che vuoi; se non ti va, per me è lo stesso; prenditi qualcosa in cambio. Rispetto all'imbarazzo dei soliti regali, questa pura fungibilità è ancora relativamente più umana, in quanto almeno consente all'altro di regalarsi quello che vuole: dove però siamo agli antipodi del dono.
Di fronte alla maggiore dovizia dei beni accessibili anche al povero, la decadenza del dono potrebbe lasciarci indifferenti, e le considerazioni in proposito sembrare sentimentali. Ma anche se, nell'abbondanza, il dono fosse diventato superfluo - e questo non è vero, sul piano privato come sul piano sociale, perché non c'è nessuno, oggi, per cui la fantasia non potrebbe scoprire proprio quell'oggetto che è destinato a fare la sua felicità -, continuerebbero a soffrire della mancanza del dono quelli che non donano più. Deperiscono in loro quelle facoltà insostituibili che non possono fiorire nella cella isolata della pura interiorità, ma solo nel contatto col calore delle cose. Un gelo afferra tutto ciò che essi fanno, la parola gentile che resta non detta, l'attenzione che non viene praticata. Questo gelo si ripercuote, da ultimo, su coloro da cui emana. Ogni rapporto non deformato, e forse l'elemento conciliante nella stessa vita organica, è un dono. Colui in cui la logica della coerenza paralizza queste facoltà, si trasforma in cosa e congela.

Il gatto in noi - Burroughs

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Il gatto non offre servigi. Il gatto offre se stesso.

Il gatto non offre servigi. Il gatto offre se stesso. Naturalmente vuole cura e un tetto. Non si compra l'amore con niente. Come tutte le creature pure, i gatti sono pratici. Per capire una questione antica, bisogna riportarla al presente. Il mio incontro con Ruski e la mia mutazione in uomo-gatto rimettono in scena il rapporto tra i primi gatti domestici e i loro protettori umani

Terminologia Filosofica - Adorno

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Marx - produttività e valorizzabilità del lavoro

Mentre nella società borghese il concetto della produt­tività è ideologizzato - possiamo dire -, il lavoro viene esaltato, in realtà la produttività è limitata esclusivamen­te alla valorizzabilità. Ora Marx da un lato sottrae il la­voro a questa ideologia; ma egli stesso considera il lavoro, non più nella prospettiva della sua valorizzabilità, è vero, però in quella della sua utilità: e tuttavia questa utilità non deve essere affatto tale (è questo un punto estrema­mente importante, che il marxismo ufficiale considerereb­be come una grande eresia). Per mostrarcelo, vi citerò uno dei più sorprendenti passi di Marx che io conosca, e su cui è stata attirata la mia attenzione pochi giorni fa. Esso vi consente di vedere per così dire dietro le quinte, e di capire qual è il vero significato di questo materia­lismo.
«Da quello che abbiamo detto finora consegue che la produttività è una determinazione del lavoro [sempre im­manente al sistema] che in primo luogo non ha assoluta­mente nulla a che fare con il contenuto determinato del lavoro, con la sua particolare utilità o col peculiare valore d'uso in cui essa si esprime»; il lavoro produttivo è dun­que definito in un modo completamente diverso da quello in cui era stato definito nel Capitale. «Lo stesso tipo di lavoro può essere produttivo o improduttivo ». E ora ar­riva il passo sorprendente: «Per esempio Milton, che ha scritto il Paradiso perduto per cinque sterline, è stato un lavoratore improduttivo». Vale a dire che non ha creato un valore di scambio, che la sua opera non era valorizza­tale. «Invece lo scrittore che esegue un lavoro che gli è stato ordinato dal suo libraio», dunque ad esempio anche lo scrittore di copioni cinematografici che fornisce a Hol­lywood dei testi dozzinali che fanno pietà, assolutamente ideologici e senza alcun valore, «è un lavoratore produt­tivo. Milton produsse il Paradiso perduto per lo stesso motivo per cui un baco produce la seta. Si è trattato di un'attività della sua natura. Più tardi vendette il prodotto per cinque sterline. Ma lo scrittore proletario di Lipsia che sotto la direzione del suo editore fabbrica dei libri (per esempio [scrive malignamente .Marx] dei compendi di economia) è un lavoratore produttivo; poiché il suo prodotto è sussunto preliminarmente sotto il capitale ed è realizzato solo per la sua valorizzazione. Una cantante che vende il suo canto per proprio conto è un lavoratore im­produttivo. Ma la stessa cantante che è ingaggiata da un impresario che la fa cantare per guadagnare denaro è un lavoratore produttivo, poiché produce capitale». In questi passi viene veramente in luce come tutte le cate­gorie della società borghese, che sono qui rappresentate dalla produttività nel senso del principio dello scambio, e quindi, in altre parole, l'intero sistema che egli sviluppa, non sia un sistema dell'assoluto o della verità. Egli vuole invece mostrare che in realtà il tutto che provvede affin­ché le opere del signor Knittel siano lavoro produttivo e quelle di Beckett invece no, che proprio questo sistema è il falso. Si tratta quindi di una deformazione assoluta, quando in nome del materialismo dialettico ufficiale la teoria di Marx viene trasformata in una specie di sistema.
Vorrei dire che il problema della comprensione di Marx comincia proprio nel punto in cui ricompare questa pecu­liare dissonanza; dove si può però anche vedere che die­tro al concetto marxiano della produttività sta un'idea che va molto al di là del concetto della pura produzione materiale.
Se avete percepito bene i suoni armonici di questo pas­so, e soprattutto il peculiare pathos — che deriva ancora dalla concezione romantica della natura, direi - insito nel­la formulazione che Milton ha cantato come canta l'uccel­lo, o, come si esprime Marx, ha filato come un baco fila la seta, potete allora osservare come questo materialismo in ultima analisi sia anche negativo, sia un sistema negativo che si contrappone allo stesso concetto del materialismo. Il materialismo marxiano ha un telos, che lo distingue ra­dicalmente dalle altre filosofie materialistiche di cui ab­biamo parlato finora: se le condizioni materiali dell'uma­nità saranno interamente realizzate, e cioè se la riprodu­zione della specie umana e la soddisfazione dei bisogni degli uomini saranno infine liberate dal valore di scambio, dal motivo del profitto, allora l'umanità cesserà di vivere sotto il giogo della materia; la completa realizzazione del materialismo sarà insieme anche la sua fine. Al termine di queste nostre considerazioni sul materialismo in gene­re, questa concezione marxiana è di grandissima impor­tanza. Possiamo dire che secondo Marx il mondo borghe­se è idealista nella sua ideologia e materialista nel suo con­tenuto; mentre la teoria di Marx è materialistica, ma quello che egli ha in mente, se si considera il suo conte­nuto più profondo, non dirò che sia idealistico, per carità; sarebbe una costituzione del mondo e anche del pensiero che è situata al di là di quella dicotomia di materialismo e idealismo.

Iperione - Holderlin

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Ho veduto una sola volta l'unica, colei che la mia anima cercava 

Un tempo fui felice, Bellarmino! Lo sono ancora? Lo sarei anche se il sacro istante in cui la vidi per la prima volta fosse stato l'ultimo?
Ho veduto una sola volta l'unica, colei che la mia anima cercava, e la perfezione che noi collochiamo al di sopra delle stelle, che noi allontaniamo sino alla fine del tempo, questa perfezione l'ho sentita presente. Era. là, questo essere supremo, là nella sfera della umana natura e delle cose esistenti.
Non domando più dove essa è; è esistita nel mondo e può ritornarvi; vi è soltanto nascosta. Non domando più che cosa sia, l'ho veduta, l'ho conosciuta.
0 voi, che cercate quanto vi è di più alto e di più perfetto, nella profondità della sapienza, nel tumulto dell'azione, nel buio dei passatoi; nel labirinto del futuro, nelle tombe e al di sopra delle stelle! conoscete il suo nome? il nome di ciò che è uno e tutto?
Il suo nome è bellezza.
Sapevate voi ciò che volevate? Io non lo so ancora, ma ne ho il presentimento; il presentimento della nuova divinità e del nuovo regno e mi affretto verso di esso e afferro gli altri e li conduco con me come il fiume le correnti verso l'oceano.
E tu, tu mi hai indicato il cammino! Con te ho incominciato. Non sono degni di ima parola gli anni in cui non ti conoscevo ancora.
O Diotima, Diotima, celeste creatura.
[…]
Non ti lasciare però sviare dalla pietà. Credimi, ovunque ci resta ancora una gioia. Il dolore genuino esalta. Chi calpesta la sua miseria si eleva. Ed è cosa magnifica il sentire, nel dolore, la libertà dell'anima. Libertà! chi comprende questa parola — è una parola profonda, Diotima. Sono cosi colpito nel più intimo io, sono inauditamente umiliato, sono senza speranza, senza scopo, totalmente senza onore e, tuttavia, è una potenza in me, qualcosa d'indomabile che pervade le mie ossa con un dolce brivido, tutte le volte che si desta in me.




C'era una volta un cavalier silenzioso e triste - Heine




C'era una volta un cavalier silenzioso e triste

C'era una volta un cavalier silenzioso e triste,
con le guance incavate e bianche come neve;
lentamente avanzava barcollando qua e là,
ed era sempre chiuso nel suo tetro sognare.
Egli era così duro e goffo e maldestro,
che i fiori e le ragazze ridean tutt'intorno,
quand'egli incespicando lor passava dinanzi.

Spesso a casa restava in un angolo oscuro,
volendosi celare alla vista degli uomini.
E lì stando, allargava sospirando le braccia,
senza mai pronunciar una sola parola.
Quando poi giungeva l'ora di mezzanotte, c
anti e rumori strani allor incominciavan...
E una mano intanto bussava alla sua porta.

Entra la sua diletta con dolcezza furtiva
in abito frusciante, ondulato e spumante,
ella è tutta brillante come una rosa in fiore,
il suo velo è cosparso delle gemme più pure.
Riccioli d'oro giocan sulla snella figura,
gli occhi suoi dolci ammiccan con potente attrattiva.
E allor tutti e due dolcemente s'abbracciano.

Il cavalier la stringe con foga amorosa,
quel ligneo uomo è ormai diventato di fuoco,
il pallido s'imporpora, il sognator si sveglia,
da timido diventa ognor più intraprendente.
La bella però l'ha scaltramente aggirato,
e gli ha piano piano ricoperto la testa
col bianchissimo suo adamantino velo.

Nella magion di cristallo, giù nel fondo dei gorghi,
come per incantamento, attratto è il cavaliere.
Guarda intorno stupito, ma la vista s'abbaglia
nel rimirare quello scintillante splendore.
Or l'ondina lo stringe sempre più dolcemente,
il cavalier è lo sposo e l'ondina la sposa,
le loro ancelle intanto fan risuonar la lira.

Giocano e cantano, cantan davvero bene,
muovono intanto i piedi nei passi della danza;
di colpo il cavaliere, credendo di svenire,
con gran forza s'aggrappa alla dolce sua donna...
Quando all'improvviso si spengono le luci,
il cavalier si trova solo nella sua casa,
dentro la sua triste stanzetta di poeta.

Lamento di Arianna - Nietzsche

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Lamento di Arianna

Chi mi riscalda, chi mi ama ancora?
Date mani ardenti,
date bracieri per il cuore!
Giù prostrata, inorridita,
quasi una moribonda cui si scaldano i piedi,
squassata, ahimè!, da febbri ignote,
tremante per gelidi dardi pungenti, glaciali,
incalzata da te, pensiero!
Innominabile! Velato! Orrendo!
Tu cacciatore dietro le nubi!
Fulminata a terra da te,
occhio beffardo che dall'oscuro mi guardi!
Eccomi distesa,
mi piego, mi dibatto, tormentata
da tutte le torture eterne,
colpita
da te, crudelissimo cacciatore,
sconosciuto – dio...
Colpisci più in fondo!
Colpisci una volta ancora!
Trafiggi, infrangi questo cuore!
A che questa tortura con frecce spuntate?
Perché guardi di nuovo
inappagato del tormento umano,
con maligni, divini occhi lampeggianti?
Non vuoi uccidere, torturare
solo, torturare? A che - torturarmi,
O tu maligno dio sconosciuto?
Ah! ah!
Ti avvicini furtivo
proprio in questa mezzanotte?...
Che vuoi?
Parla!
Mi stringi, mi opprimi,
ah! troppo vicino!
Mi ascolti respirare,
il tuo orecchio spia il mio cuore,
O geloso
- ma di che geloso?
Via, via! perché la scala?
vuoi salire
sin dentro, nel cuore,
nei miei più segreti
pensieri salire?
Svergognato! Ignoto! Ladro!
Che speri di rubare?
Che speri di scoprire spiando?
che speri di estorcere,
torturatore!
tu - dio carnefice!
Oppure devo, come il cane,
dinanzi a te voltolarmi?
Devota, rapita fuori di me
scodinzolarti – amore?
E' inutile!
Trafiggi ancora,
spina crudelissima!
Non sono un cane - solo la tua preda sono,
crudelissimo cacciatore! la più superba tua prigioniera,
tu rapitore dietro le nubi...
Parla infine!
Tu velato dal fulmine! Ignoto! parla!
Che vuoi, predone, da – me?...
Come?
Prezzo di riscatto?
Quanto vuoi per riscattarmi?
Chiedi molto - consiglia il mio orgoglio,
e parla poco - consiglia l'altro mio orgoglio!
Ah! ah!
Me - vuoi? Me?
me — tutta?...
Ah! ah!
E mi torturi, folle che sei,
martirizzi il mio orgoglio?
Da' amore a me - chi mi, scalda ancora?
chi mi ama ancora?
da' mani ardenti,
da' bracieri per il cuore,
da' a me, la più solitaria,
cui ghiaccio, ah! sette strati di ghiaccio
a bramare nemici insegnano,
persino nemici,
da' a me — te,
nemico crudelissimo,
anzi arrenditi a me!...
È andato!
Ecco anche lui fuggì,
il mio unico compagno,
il mio grande nemico,
il mio sconosciuto,
il mio dio carnefice!...
No!
torna indietro!
Con tutte le tue torture! Tutte le lacrime mie
corrono a te
e l'ultima fiamma del mio cuore
s'accende per te.
Oh, torna indietro, mio dio sconosciuto! dolore mio!
felicità mia ultima!...
Un lampo. Dioniso si manifesta con una bellezza smeraldina.
Dioniso:
Sii saggia, Arianna!...
Hai piccole orecchie, hai le mie orecchie:
metti là dentro una saggia parola! -
Non ci si deve prima odiare, se ci si vuole amare?...
Io sono il tuo Labirinto...